Editoriale - 17 settembre 2024
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RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI
Messaggio per la Giornata per la Pace 2025
Non pensiamo che sia solo l'occasione dell'anno giubilare ad aver suggerito il tema del tradizionale messaggio per la Pace del primo gennaio. Se il Giubileo è certo un anno di gratuita misericordia da parte di Dio, è da parte nostra che è opportuno e urgente elevare la richiesta di perdono. Troppo orrore, troppi peccati dell'umanità tutta e di ciascuno hanno costellato gli ultimi anni. Guerre, crescita di gesti e linguaggi violenti, assuefazione a discorsi divisivi, alla creazione ad hoc di nemici, pratiche sommarie di ingiustizia a livello sociale (terrorismo) o relazionale (femminicidio) ecc... Un quadro desolante soprattutto per l'arretramento rispetto ad alcuni valori civili faticosamente affermati nel tempo. Su tutto questo aleggia forse un pericolo maggiore: quello di sentirsi schiacciati su questo panorama, di sentirsi complici e colpevoli, ma anche disillusi che possa cambiare. Ultimamente, trascinati in quelle logiche così da alimentarle e non saperne uscire.
Ecco che appare singolare l'incipit del messaggio rivolto "ad ogni donna e uomo, in particolare a chi si sente prostrato dalla propria condizione esistenziale, condannato dai propri errori, schiacciato dal giudizio altrui e non riesce a scorgere più alcuna prospettiva per la propria vita" (n. 1). Il Giubileo invita alla speranza, a confidare che Dio rimetta i nostri debiti, ci riabiliti a una vita nuova. L'anno giubilare era in Israele l'anno che chiedeva di "ristabilire la giustizia in diversi ambiti della vita", così che il mondo tornasse a rispecchiare il sogno di Dio creatore. Tutti erano richiamati a ciò dal suono dello yobel, il corno suonato ogni 50° anno. Con un'immagine potente, il Papa sostituisce il suono del corno con il "«grido disperato di aiuto» che, come la voce del sangue di Abele il giusto, si leva da più parti della terra (cfr. Gen 4,10) e che Dio non smette mai di ascoltare. A nostra volta ci sentiamo chiamati a farci voce di tante situazioni di sfruttamento della terra e di oppressione del prossimo" (n. 3). Un grido delle vittime soprattutto a causa delle strutture di peccato alimentate dai comportamenti personali (sfruttamento della natura, rifiuto dell'altro, sperpero nelle spese militari ecc.). Davanti a tutto quanto già sappiamo (e non vogliamo vedere) ci è data una mappa opportuna.
Siamo tutti in debito. Innanzitutto, citando Basilio: "«Ma quali cose, dimmi, sono tue? Da dove le hai prese per inserirle nella tua vita? […] Non sei uscito totalmente nudo dal ventre di tua madre? Non ritornerai, di nuovo, nudo nella terra? Da dove ti proviene quello che hai adesso? Se tu dicessi che ti deriva dal caso, negheresti Dio, non riconoscendo il Creatore e non saresti riconoscente al Donatore»" (n. 5). Insomma, nulla è dovuto, tutto è donato, a me e agli altri. Nulla è possesso esclusivo, tutto è condivisione. C'è quindi uno sguardo di fondo: quello che impone di restituire il "debito", e questa restituzione si chiama giustizia. Essere operatori di giustizia è il primo modo per essere pacifici e pacificatori (senza pretese di difesa di confini in nome della "sicurezza" dei propri privilegi). L'accenno conseguente alle istituzioni internazionali (pubbliche e private) che operano sfruttamento, dominano caricando di pesi finanziari e ecologici i più deboli, invoca gesti di condono.
Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. È una reciprocità che non qualifica il rapporto con Dio come un do ut des, uno scambio, ma una consapevolezza convertita: "Per rimettere un debito agli altri e dare loro speranza occorre, infatti, che la propria vita sia piena di quella stessa speranza che giunge dalla misericordia di Dio" (n. 10). In questo senso "Dio, che non deve nulla a nessuno, continua a elargire senza sosta grazia e misericordia a tutti gli uomini", cioè, invita a far prevalere il dono, la grazia, il gesto di liberazione, la cura, prima di "fare i conti", di valutare i meriti, le opportunità. Se la giustizia impone anche rapporti di equilibrio tra le parti, lo stile di Dio manifestato in Cristo insegna la priorità dell'amore che sa "alzare chi è caduto, fasciare i cuori spezzati, liberare da ogni forma di schiavitù" (n. 10). Senza questo sguardo troveremo sempre scuse sufficienti per chiuderci in noi.
Ne derivano tre gesti emblematici.
  1. "Riconoscendo il debito ecologico, i Paesi più benestanti si sentano chiamati a far di tutto per condonare i debiti di quei Paesi che non sono nella condizione di ripagare quanto devono". Il che implica anche "una nuova architettura finanziaria" mondiale.

  2. "Rispetto della dignità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale, perché ogni persona possa amare la propria vita e guardare con speranza al futuro". Un gesto è l'eliminazione della pena di morte dalle legislazioni.

  3. "Cercare di eliminare ogni pretesto che possa spingere i giovani a immaginare il proprio futuro senza speranza, oppure come attesa di vendicare il sangue dei propri cari". Convertire le risorse per armi in progetti di lotta alla fame, alla crisi ecologica, all'educazione delle nuove generazioni.

Una consapevolezza finale: "Coloro che intraprenderanno, attraverso i gesti suggeriti, il cammino della speranza potranno vedere sempre più vicina la tanto agognata meta della pace. Il Salmista ci conferma in questa promessa: quando «amore e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno» (Sal 85,11). Quando mi spoglio dell'arma del credito e ridono la via della speranza a una sorella o a un fratello, contribuisco al ristabilimento della giustizia di Dio su questa terra e mi incammino con quella persona verso la meta della pace" (n. 12). Sembra irreale non comprenderlo. O forse ci costa solo troppo! Facciamo troppi calcoli invece di convertire il cuore: "Cerchiamo la pace vera, che viene donata da Dio a un cuore disarmato: un cuore che non si impunta a calcolare ciò che è mio e ciò che è tuo; un cuore che scioglie l'egoismo nella prontezza ad andare incontro agli altri; un cuore che non esita a riconoscersi debitore nei confronti di Dio e per questo è pronto a rimettere i debiti che opprimono il prossimo; un cuore che supera lo sconforto per il futuro con la speranza che ogni persona è una risorsa per questo mondo" (n. 13). Questo "disarmo del cuore" rende ciascuno capace di trasformare il proprio debito in credito per altri.
26 Dicembre 2024, "Città di Dio"


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